DISASTRO DI BALVANO: La storia dimenticata del treno con 500 vite spezzate in una galleria dimenticata
3 marzo 1944, data del disastro ferroviario di Balvano, la più grande tragedia nella storia delle ferrovie italiane. È la storia di una tragedia dimenticata che invece merita di essere raccontata e ricordata, per rispetto delle centinaia di vittime che morirono in quel giorno terribile.
LA STORIA DEL DISASTRO DI BALVANO
In quel periodo, in piena Seconda Guerra Mondiale, l’Italia è divisa in due dalla cosiddetta “Linea Gotica”: al nord i nazi-fascisti e a sud gli alleati. A pochi mesi dall’armistizio (8 settembre 1943) la situazione nella penisola è drammatica. Muoversi sul territorio nazionale è diventato impossibile e i pochi treni sono presi d’assalto da passeggeri, spesso abusivi, che si spostano per sfuggire alla miseria. Sulla linea Napoli-Potenza il treno merci 8017, 47 vagoni trainati da 2 locomotive, viene usato dalle truppe alleate per trasportare legname: non arriverà mai a destinazione ma si fermerà nella maledetta Galleria Delle Armi all’altezza di Balvano (PZ). Da notare, che allora i treni erano guidati da una sola locomotiva o al massimo con due locomotive: una in testa e una in coda. In quel caso, invece, fu scelto di usarne due e tutte e due in testa per spostare la prima da Battipaglia a Potenza anche per rendere più facile il passaggio del valico tra Baragiano e Tito.
STRAPIENO DI VIAGGIATORI
Il treno alla Stazione di Napoli viene preso d’assalto da circa 600 persone che si stipano abusivamente nei vagoni. Il personale di Stazione ed i militari che scortano il convoglio chiudono un occhio sullo spettacolo che è diventato consuetudine. Per la verità, all’altezza di Eboli vengono fatti scendere molti abusivi, e fu la loro fortuna, ma ne salirono molti di più successivamente. Insomma, non si poteva fare granché: c’era la guerra e le persone che abitavano nei paesini di campagna erano stremate per la mancanza di cibo e andando in altre città speravano di poter trovare qualcosa da mangiare.
Il treno parte con un carico notevolmente superiore alla sua capacità e con le locomotive alimentate da carbone di bassa qualità che bruciando sviluppa poca potenza e una quantità elevatissima di monossido di carbonio.
LO STOP NELLA GALLERIA
Alle 0.50 del 3 marzo il treno entra nella galleria. Quando tutti i vagoni si trovano all’interno, le ruote motrici delle locomotive si arrestano: a fermarsi è la prima delle due locomotive e questo spinse i macchinisti della prima locomotiva ad indietreggiare per uscire dalla galleria in retromarcia. Il problema è che i macchinisti della seconda locomotiva, vedendo quella davanti indietreggiare, pensarono che ci potesse essere un problema e quindi decisero di spingere in avanti per uscire dalla galleria dal davanti. Una incomprensione mortale: quelli davanti spingono per andare indietro, quelli dietro spingono per andare avanti, con il risultato che il treno rimane immobile.
Non solo, in coda al treno c’è un frenatore, una persona che se non avesse fatto nulla avrebbe permesso al treno di indietreggiare anche per via della pendenza. Invece aziona il freno manuale inchiodando il treno al suo destino.
La galleria è lunga circa due chilometri e il treno, lunghissimo, si ferma a circa 800 metri dopo l’ingresso in galleria: solo gli ultimi due vagoni restano fuori.
Come se non bastasse, i soccorsi vengono chiamati alle 5.10 del mattino e arrivano anche più tardi.
UNA ENORME CAMERA A GAS
Tutto questo caos ottiene un incremento del fumo che esce dai fumaioli trasformando la galleria in una micidiale camera a gas uccidendo ufficialmente 517 persone anche se per altre fonti i morti furono molti di più.
La maggior parte delle vittime viene colta nel sonno dal gas mortale. Molti riescono a scappare anche per la paura di essere beccati in quanto abusivi, e i sopravvissuti raccontano i fatti in modo confuso. I morti, alcuni dei quali non vennero mai identificati, vengono seppelliti in quattro fosse comuni.
NON ERA LA PRIMA VOLTA
Qualche settimana prima del fatto, un treno dell’autorità militare statunitense aveva subito un incidente simili sulla tratta Baragiano-Tito, poco dopo il luogo della tragedia del treno 8017. Anche in quel caso il treno si era fermato e il personale era rimasto intossicato dai gas di scarico del carbone.
Nel 1972 uno dei parenti delle vittime fece costruire nel cimitero di Balvano un sacrario dedicato ai morti del treno dove ogni anno si celebra una Messa e si ricorda la terribile tragedia.
I LIBRI PER APPROFONDIRE
Se sei interessato ad approfondire l’argomento, c’è il bellissimo libro di Gianluca Barneschi, “BALVANO 1944” che racconta i fatti di quella terribile giornata.
Foto: Wikicommons
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